L’inizio

Capitolo 1.

Era una di quelle case solide, costruita a fine Ottocento, nel periodo dell’Impero austro-ungarico in cui Fiume era in piena espansione. In quegli anni erano stati chiamati architetti austriaci e italiani per rendere la città bella e importante; consona, insomma, alla fama che aveva acquisito grazie allo sviluppo del suo porto e, di conseguenza, ai commerci e alle rotte di navigazione verso tutto il mondo. Tra i tanti edifici imponenti, avevano costruito anche questa casa a quattro piani che di lussuoso non aveva niente, ma si distingueva per il suo portamento da signora raffinata. Tre gradini di pietra d’Istria ben levigata e ormai un po’ consumata, per accedere al largo portone scuro, con il battiporta di ottone brunito a forma di foglie intrecciate: appariva leggiadro, ma il suono sulla porta si faceva ben sentire. Il portone era inserito tra due colonne della stessa pietra, chiuso da un arco decorato: un insieme di forza e di grazia. Sopra il portone, un balconcino con la balaustra liberty a motivo floreale abbelliva il piano cosiddetto nobile, seguendo la concezione ripresa dalle case che le stavano di fianco, con un solo balcone per edificio. Proprio di fronte, l’ingresso laterale del più importante teatro cittadino, il Teatro Verdi: l’ingresso degli artisti. Alla piccola Elena piaceva stare seduta per terra nel balconcino a osservare gli artisti che entravano prima degli spettacoli. Non la finivano più di sciamare dentro, i musicisti dell’orchestra vestiti di nero, con i loro astucci per gli strumenti delle più diverse dimensioni. O le cantanti, con cappellini di fogge strane che richiamavano la sua attenzione. Benché Fiume fosse una città piccola, aveva una tradizione di musica colta e tante prime rappresentazioni venivano fatte proprio qui, perché il pubblico era molto esigente. Davanti all’ingresso principale del teatro, una piazza con le panchine, contornata da alberi ombrosi e con un piccolo giardino dalle aiuole ben curate, piene di fiori che i giardinieri cambiavano a seconda delle stagioni. La zona era animata: subito dopo il giardino della piazza, i padiglioni liberty del mercato coperto e, ancora, quello della pescheria. Di lato, il canale della Fiumara, con attraccati le barche a remi dei pescatori e i trabaccoli a vela, che portavano più lontano. Poco più su, sulla Fiumara, il ponte girevole che permetteva l’accesso nel canale a barche più grandi; attraversando il ponte si giunge a Sussak, un quartiere della città. Proseguendo per la via dall’altro lato, dopo avere costeggiato il giardino del teatro, si attraversa la strada del mercato e si arriva al porto. Da lì, con una breve passeggiata si può andare verso il centro, o verso la città vecchia o, ancora, sul Molo Lungo. Sotto l’Impero la strada e la piazza si chiamavano Ürmény, per poi diventare piazza Verdi e via Rossini. La casa era al numero 3 della via. «Elena, vieni a vedere!» Antonio chiamò la sorella con eccitazione. «C’è Toscanini e la sua orchestra, stanno entrando in teatro!». La bambina corse ad affacciarsi, mentre il fratello più grande le indicava l’acclamato direttore, in mezzo ai suoi orchestrali. Lei non sapeva chi fosse, Toscanini, ma Antonio le aveva trasmesso la sua eccitazione per questo signore che, sicuramente, doveva essere molto bravo. Infatti c’era tanta gente che lo applaudiva. Gridavano: «Viva Toscanini, viva D’Annunzio!». Guardò Antonio e, insieme e con grande entusiasmo, urlarono anche loro: «Viva Toscanini, viva D’Annunzio!».