75 ANNI FA, MUSSOLINI A TRIESTE.
Brano tratto dal libro:
“Il 18 settembre Mussolini visitò Trieste. C’era grande aspettativa da parte di tutta la popolazione e anche la Comunità Ebraica mandò un telegramma al Duce: “Attende giubilante venuta Grande Capo cui riafferma sensi profonda devozione.”
Evidentemente la Comunità non voleva apparire diversa dagli altri gruppi triestini che avevano partecipato il loro entusiasmo per questa venuta, nonostante quanto affermato negli anni precedenti sulla stampa e nonostante il censimento appena attuato nei confronti degli ebrei, anche quelli battezzati. Mussolini arrivò a Trieste seguendo una coreografi a ben studiata: scortato da una squadra della Marina da guerra, scese sul Molo Audace dal cacciatorpediniere “Camicia Nera”. Il podio da cui parlò in Piazza Grande era formato da due timoni di nave che sorreggevano la pedana. Il discorso sarà l’unico così violentemente razzista e antiebraico pronunciato in tutta Italia, anche in seguito. Venne diffuso integralmente dalla radio e fu ampiamente riportato dalla stampa anche in Germania. La scelta di Trieste non fu casuale: città con un nucleo ebraico fiorente e numeroso, città fedele al fascismo e toccata da fatti di politica interna ed estera rilevanti.
Immagino Andi che si mescola tra la folla di piazza Unità: è curioso, anche se spaventato. Ascolta Mussolini dire: “Il problema razziale non è scoppiato all’improvviso come pensano coloro i quali sono abituati ai bruschi risvegli… è in relazione con la conquista dell’Impero; poiché la storia ci insegna che gli imperi si conquistano con le armi ma si tengono con il prestigio.
E per il prestigio occorre una chiara, severa coscienza razziale, che stabilisca non soltanto delle differenze, ma delle superiorità nettissime.” O ancora: “L’ebraismo mondiale è stato, durante 16 anni, malgrado la nostra politica, un nemico irriconciliabile del fascismo”. Il discorso è interrotto dalle ovazioni della folla che grida: “Duce! Duce!”. Andi non si era mai reso conto di essere un “problema” per il suo paese. Non sapeva di fare parte di un gruppo nemico, denominato “ebraismo mondiale”, un gruppo che congiura contro l’Italia. Fino a quel momento si era sempre sentito un ragazzo come gli altri, aveva tanti amici non ebrei, con cui giocava a calcio o bighellonava per la città.
In realtà, probabilmente, quel giorno Andi rimase chiuso in casa aspettando che l’eccitazione e la confusione finissero.
La piazza era destinata per metà al partito: davanti al palco file ordinate di uomini in divisa nera. Tra questi, però, diversi giovani ebrei che ancora militavano nei giovani Avanguardisti o nel GUF (Giovani Universitari Fascisti), e che certamente non si aspettavano un tale attacco. La seconda parte della piazza era di libero accesso per i cittadini. Una piazza resa nera dalle divise, stendardi con la scritta “Duce” in tutte le strade importanti; un allestimento di simboli fascisti sul molo Audace; la flotta navale ancorata al largo che, nella notte, illuminava il cielo facendo saettare i fari antiaerei; il profilo luminoso di Mussolini montato sul palazzo del Comune. C’era troppa eccitazione, troppa agitazione, troppi “bacoli” in giro. Bacolo, che in dialetto significa scarafaggio, era il termine usato dagli antifascisti per definire le camice nere.”